Per i personaggi con il simbolo del Franco è richiesto al giocatore uno sforzo superiore nella realizzazione del costume
(in termini economici e/o di impegno personale)
I personaggi con il simbolo Ө richiedono un confronto con lo staff prima della realizzazione del costume.
MESSIEURS
Pierre-Charles de Molette, marchese de Morangies e conte di Saint-Alban, è il capofamiglia di una tra la più importanti casate nobiliari del Gévaudan. Il conte ha sempre preferito starsene pigramente nelle sue terre, ad amministrare la giustizia e i propri averi, piuttosto che trasferirsi nello sfarzo di Versailles, là dove “tutta la nobiltà che conta” risiedeva.
Il suo prestigio nel Gévaudan è pressoché assoluto: la sua contea, così distante e marginale, viene governata dalla sua famiglia, quasi come fosse ancora un antico feudo medievale.
Sposato con la baronessa Victoire-Odette de Châteauneuf-Randon, è padre di quattro figli:
Charles-François, Claudette, Ivette e Marie-Paule.
Recentemente due eventi hanno turbato la quiete del suo ambiente: l’avvento della Bestia, contro cui a nulla sono serviti tutti gli sforzi per far cessare la scia di brutali massacri, e l’improvvisa morte dell’amata figlia Claudette. Come se non bastasse, proprio nell’anno 1765, il Re ha deciso di inviare in questa sperduta regione dell’Occitania il proprio Portatore d’Archibugio con un nutrito seguito di soldati e cacciatori. Non ci voleva: ora nel Gévaudan verranno a mettere becco e comandare dei forestieri, oltretutto legittimati dal sigillo reale.
“La Bestia? Non vedo cosa ci sia da allarmarsi tanto: finora ha ucciso solo dei villani”
Primogenito e rampollo della famiglia de Morangies, Charles-François de la Molette è ufficiale di carriera con il ruolo di capitano del reggimento di fanteria della Linguadoca.
Tornato nei territori del Gévaudan per una licenza, si é stabilito presso la dimora paterna da diversi mesi, cooptato nella caccia della Bestia che tante vittime sta provocando nella regione. Tutti sforzi vani finora. A differenza del padre, il futuro conte non vuole accontentarsi della vita tranquilla di provincia. La sua smisurata ambizione lo vorrebbe portare verso obiettivi più alti e, impressionare l’alta aristocrazia di corte attraverso la carriera militare, rappresenta un ottimo trampolino di lancio verso la gloria mondana. I continui fallimenti nel cercare di debellare la Bestia non hanno fatto altro però che accrescere la disistima che già aleggiava su Charles-François. Sussurri e dicerie, sempre più insistenti, si rincorrono infatti sulla vita dissoluta del primogenito della famiglia de Morangies.
“Vincere ed ottenere ciò che più si desidera non è importante, è l’unica cosa che conta”
Uomo burbero e a volte scostante, Armand è un orfano che fu accolto quando aveva tredici anni dalla famiglia Morangies. Qui fu affidato alla dura pedagogia del vecchio stalliere, da cui imparò il mestiere, dimostrando una notevole affinità e abilità con gli animali.
Cresciuto con i figli del Marchese de Morangies, ha sempre avuto un ottimo rapporto con le figlie, compresa la defunta Claudette, delle quali accudisce i cavalli e a cui ha insegnato a cavalcare. Con Charles-François, il figlio maggiore che gli è coetaneo, al contrario ha sempre mantenuto una certa fredda distanza. Armand è conosciuto anche a Saint Alban e nei villaggi vicini, in quanto spesso accompagna Louise-Antoine Fontaine nelle sue commissioni: molti sanno che intrattiene anche numerosi “affari” con gli Chastel che gli chiedono assistenza con le loro cavalcature in cambio di un aiuto con i cani da caccia dei Morangies.
Questo è ciò che si dice in via ufficiale: alcuni mormorano che i traffici tra Armand e gli Chastel siano spesso di natura assai meno trasparente, benché tali accuse non abbiano mai trovato credito presso i Morangies.
“Un buon cavallo va cresciuto con l’avena migliore e va educato con il bastone più duro.
Per gli uomini vale un po’ lo stesso.”
Emanuel presta servizio da quasi 10 anni presso la famiglia De La Molette, distinguendosi per discrezione e affidabilità. Per questo motivo è stato messo a capo della servitù e gestisce molti degli aspetti inerenti all’amministrazione, anche economica, della casa.
Il maggiordomo presiede anche alla cura degli ospiti della famiglia e partecipa anche a numerosi gabinetti riservati, con la certezza che le questioni discusse non trapeleranno mai dalla sua bocca. Unica macchia nel suo stato di servizio si verificò circa due anni prima quando, per qualche mese, Emanuel venne ripetutamente meno ai propri doveri e per questo rischiò di essere allontanato dal servizio della famiglia.
L’intera questione fu posta sotto silenzio ed Emanuel riprese le proprie mansioni con rinnovato impegno, riconquistando in breve tempo la considerazione dei suoi signori.
“Lo scrigno più sicuro in cui riporre un segreto non è di ferro o legno, ma di carne e pensieri.”
Jean-Joseph D’Apchier è il giovane rampollo di una delle più antiche e nobili famiglie del Gévaudan: orfano di entrambi i genitori vive nel tetro e maestoso castello che prende il suo nome. A dispetto della vita di reclusione che conduce in una delle più isolate regioni del Regno, Jean-Joseph è un giovane colto e curioso, che ha provveduto da sé alla sua istruzione.
Il Marchese era promesso sposo di Claudette De La Molette, una delle tre figlie del Conte di Morangies, ma la tragica e prematura morte della giovane, ormai tre anni fa, ha stroncato questo matrimonio prima che fosse persino reso pubblico.
Nella sua insaziabile sete di cultura, di novità e di mondanità, pungolate da un complesso di inferiorità tutto provinciale, si è avvicinato da tempo alle idee bizzarre e anticonformiste di pensatori come Voltaire, Montesquieu, Diderot e Rousseau.
Quando la notizia della Bestia che funestava la regione ha raggiunto le sue orecchie, mortificato dalle atrocità da essa perpetrate nei confronti della povera gente e animato da un ingenuo ma sano idealismo, Jean-Joseph e si è risolutamente unito alla caccia all’Abominio.
“C'è chi muore oscuro perché non ha avuto un diverso teatro.”
Chi non conosce questo nome, che desta scandalo nei salotti reazionari del Regno e l’ammirazione dei cenacoli progressisti parigini?
Voltaire è personaggio noto e di grande fama non solo in Francia, ma in tutta Europa: la sua vasta produzione letteraria e la sua stessa indole si sono sempre caratterizzate per l'ironia, la vivacità dei toni e la polemica contro ingiustizie e superstizioni. Tra i massimi ispiratori del pensiero razionalista moderno, il filosofo si è sempre dichiarato un deista, seguace di una religione naturale che vede la divinità come estranea al mondo e alla storia. Proprio per disquisire sul “Trattato di tollerenza”, una delle sue più recenti e discusse opere, Voltaire ha accettato di recarsi nel Gévaudan in visita di un suo affezionato mecenate e ammiratore, il Marchese Jean-Joseph d'Apchier, nobile di idee illuministe che da tempo stava cercando un’occasione per ospitare uno dei maggiori “encyclopédiste”. L’invito rappresenta per il noto autore anche un’opportunità per visitare questa remota regione dell’Occitania che tuttavia, da qualche tempo a questa parte, sta sempre più solleticando la curiosità di molte persone a Parigi: gli efferati crimini della Bestia sono diventati ormai un argomento di discussione ed interesse perfino nei garbati salotti della capitale.
“La superstizione mette il mondo intero in fiamme; la filosofia le spegne”
Gabriel-Florent de Choiseul-Beaupré è stato vescovo di Saint-Papoul dal 1718 al 1723 e ricopre la carica di vescovo di Mende dal 1723. Fu l’ascesa a quest'ultima posizione ecclesiastica a conferirgli il titolo di Conte del Gévaudan, che spetta di diritto ai vescovi di Mende dopo l'atto di pareggio firmato nel 1307 dal Re e da Guglielmo VI Durand. Nel 1763 impose nella sua diocesi l'uso del breviario di Parigi, in un tentativo di vincere la cupa superstizione delle genti della regione e promuovere la religione cattolica come un rinnovato elemento di unità del popolo.
Uomo di profonda cultura ecclesiastica e molto attento alla forma, fu lui che, a fronte delle stragi perpetrate dalla Bestia, ordinò che il 6 gennaio del 1765 il Santissimo Sacramento fosse esposto in tutte le chiese della diocesi, con l’imposizione di recitare preghiere ogni quarantotto ore. Per il Vescovo Conte vi è una battaglia dello Spirito ancora più importante da combattere di quella materiale, la cui vittoria decreterà la fine del Magistero della Bestia.
“La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.”
Etienne Lafont, all’epoca della vicenda della Bestia, ha 46 anni ed è una delle personalità pubbliche più influenti della regione del Gévaudan.
Questo promettente funzionario, rampollo di una famiglia dalle lontane ascendenze ugonotte, ebbe un suo primo battesimo del fuoco come avvocato nel parlamento di Tolosa.
Il 17 marzo 1749, a soli trent'anni, acquisì l'incarico di Amministratore della diocesi durante gli stati del Gévaudan tenuti a Mende, su proposta del suo predecessore.
Dal rango di semplice avvocato al parlamento di Tolosa , Lafont ottenne quel giorno una folgorante promozione che lo qualificò in seguito anche come procuratore fiscale al servizio del vescovo di Mende, monsignor de Choiseul-Beaupré. Il ruolo di Tesoriere e Amministratore diocesano di Lafont non è semplice in quanto deve spesso agire da mediatore tra gli interessi divergenti delle antiche famiglie nobiliari del Gévaudan, del Vescovo di Mende, del Governo centrale di Parigi e della Chiesa stessa: il suo contegno diplomatico gli ha permesso di tenersi magnificamente a galla nell’insidioso stagno politico di questa regione isolata.
Come si sussurra nei salotti di Mende, ad oggi è quest’uomo alto, distaccato e segaligno colui che tiene i cordoni della borsa del Gévaudan.
"La politica del Gévaudan è buia, insidiosa e contorta, proprio
come le sue gole e le sue foreste."
MESDAMES
Victoire-Odette de Châteauneuf-Randon esprime nel suo aspetto e nel suo spirito i lineamenti dell’austera aristocrazia di provincia: sposatasi giovanissima con Pierre-Charles De La Molette, benedì la loro unione con quattro bellissimi figli. Il primogenito Charles-François De La Molette, destinato a portare avanti il nome della famiglia, e le tre figlie, Claudette, Marie e Ivette De La Molette. Celebrata per l’alta dignità del suo contegno, furono in molti a compatirla quando le morì la figlia maggiore Claudette. La tragedia calò come un colpo di scure sulla donna, che decise di preservare la propria reputazione di dama compassata in una dolorosa riservatezza: tra la servitù di casa Morangies si sussurra ancora che rimase per sette ore a fissare impassibile il corpo rigonfio e orrendamente deturpato della figlia, morta annegata, senza versare una sola lacrima. Un lutto decoroso e riservato, che le valse il rispetto della Società, sebbene coloro che le restarono più vicini osservarono in lei un profondo cambiamento: una ancor più marcata rigidità nel portamento, una tendenza ad isolarsi e un ripiegamento quasi ossessivo nella religione. Il dolore era precipitato nelle profondità del suo cuore, in un insondabile e invisibile abisso di disperazione.
“Signore Dio, intaglia il mio dolore in un volto di pietra.”
Figlia minore di Pierre-Charles De La Molette, Marchese de Morangies, questa bella fanciulla dimostra una spensieratezza e un’ingenuità verso il mondo che induce chi la circonda a volerle bene. Istruita nelle arti e nelle buone maniere, la giovane vive nella convinzione che tutti i problemi del mondo possano essere risolti con la dedizione e l’amore che alberga nel cuore. Inevitabilmente, come molti della sua classe sociale, ha difficoltà ad empatizzare con i problemi dell’uomo comune, non per disinteresse, ma per il fatto che si tratta di realtà così lontane dal suo quotidiano che fatica persino ad immaginarle.
L’unica ombra che ha sorvolato l’esistenza di questo delicato fiore di campo è la morte della sorella maggiore Claudette, trovata annegata in uno stagno a poca distanza dalla tenuta paterna più di tre anni orsono a seguito, come molti vociferano, di un’aggressione o peggio ancora di un tentativo di violenza. Basta menzionare il nome della sorella per ammutolire la bella Ivette, che non ha ancora evidentemente superato il trauma di quella perdita.
“Monsieur, non trovate che il pervinca mi doni molto più del ceruleo?”
Figlia terzogenita di Pierre-Charles De La Molette, Marchese de Morangies, a differenza delle sue sorelle, sin da giovane le fu imposta una rigorosa educazione religiosa.
Questa scelta fu il frutto di una mediazione tra suo padre e sua madre Victoire-Odette, donna profondamente devota, che sperava almeno in una vocazione tra i membri della famiglia. Logica conseguenza di questa educazione fu di modellare Marie-Paule in un’indole introversa e discreta, dotata nondimeno di un’intelligenza acuta che sorprende interlocutori casuali.
Altro effetto della sua educazione fu un maggiore attaccamento alla figura materna, soprattutto in seguito alla tragica morte della sorella maggiore Claudette. Marie-Paule ebbe la sfortuna di contemplare il corpo rigonfio della sorella, ripescato dalle acque di uno stagno a poca distanza dalla tenuta dei Morangies. Tra la servitù si sussurra che, da allora, la ragazza sia afflitta da terribili incubi, acuiti dalla reclusione nel convento delle suore orsoline di Mende.
Marie-Paul, da alcuni mesi, ha anche sviluppato l'inquietante abitudine di rivolgersi alle altre donne della famiglia e della servitú come se stesse parlando con la sorella defunta.
“Vorrei chiedere a Dio una benedizione: quella di dimenticare.”
Primogenita e unica figlia femmina del ramo cadetto della famiglia de Châteauneuf-Randon, Amélie ha vissuto immersa nel mite e pigro agio che solo una vita nell'isolata aristocrazia di campagna può offrire. Suo padre, Jerome-Jacques de Châteauneuf-Randon, uomo concreto e reso austero dalla carriera militare, la fece istruire nella letteratura e nella poesia, arti che la giovane dama era solita coltivare all’ombra delle alte betulle che cingevano i confini della proprietà della sua famiglia. È sempre stata in ottimi rapporti con le cugine Claudette, con la quale era nota una rimarcabile somiglianza fisica, Ivette e Marie-Paule; in particolare a quest’ultima si è notevolmente avvicinata dopo che la raggelante notizia della morte della cara cugina aveva lasciato sconvolte entrambe. Amélie aveva asciugato e spartito le lacrime di Marie-Paule e Ivette, ammirando l’algida ma nobilissima dignità con la quale sua zia Victoire-Odette, suo marito Pierre-Charles e suo cugino Charles-Francois avevano affrontato quel lutto lacerante. Da quel momento, le visite di Amélie a Saint Alban, presso la casa dei cugini, si sono fatte più frequenti: si sussurra che sia dovuto in buona parte alle insistenze di Marie-Paule, capace di ritrovare calma e lucidità solo grazie all’intervento della cugina, la fanciulla che tanto somiglia alla sua defunta sorella. Di recente, Amélie è stata più di una volta vista con i capelli raccolti nel velo monacale e una rigidità nel volto e nel portamento che poco si addicono alla sua giovane spensieratezza: in molti a Saint Alban si sono chiesti il motivo dietro alla scelta di introdurre la giovane nel convento delle Orsoline di Mende.
“Dio ha donato le spine alle rose perché possano ferire chi vuole strapparle.”
Emmanuelle presta servizio da quasi 10 anni presso la famiglia De La Molette, distinguendosi per discrezione e affidabilità. Per questo motivo è stata messa a capo della servitù e gestisce molti degli aspetti inerenti all’amministrazione, anche economica, della casa.
La domestica presiede anche alla cura degli ospiti della famiglia e partecipa anche a numerosi gabinetti riservati, con la certezza che le questioni discusse non trapeleranno mai dalla sua bocca. Unica macchia nel suo stato di servizio si verificò circa due anni prima quando, per qualche mese, Emmanuelle venne ripetutamente meno ai propri doveri e per questo rischiò di essere allontanata dal servizio della famiglia.
L’intera questione fu posta sotto silenzio ed Emanuel riprese le proprie mansioni con rinnovato impegno, riconquistando in breve tempo la considerazione dei suoi signori.
“Lo scrigno più sicuro in cui riporre un segreto non è di ferro o legno, ma di carne e pensieri.”
Al servizio da qualche anno della famiglia Morangies, questa fanciulla gravita nelle grazie di Charles-François De La Molette, con cui pare abbia instaurato una certa intesa.
Nonostante questo, nessuno nella casa Morangies conosce dettagli del suo passato o da dove provenga esattamente, data l'estrema riservatezza della domestica circa la sua vita personale. Nonostante questo, la donna ha saputo farsi benvolere da tutti, che siano nobili, servitori, persino villani e borghesi di Saint Alban e dei villaggi vicini, dove si reca spesso per svolgere commissioni per i padroni.
Un malpensante potrebbe insinuare che costei sia particolarmente brava a intrecciare buoni rapporti con il prossimo e che questo comportamento abbia una finalità che solo lei conosce, ma si tratterebbe appunto di insinuazioni. Questi pettegolezzi sono probabilmente frutto di gelosie tra la servitú, invidiosa del suo rapporto di confidenza con il rampollo della famiglia e del trattamento di favore che Piquet sembra riservarle.
“Subito, monsignore.”
Da quando l'invito dei Marchesi de Morangiés ha raggiunto la delegazione reale, tra gli inviati del re si è lentamente diffuso un senso di conforto al pensiero di poter approfittare di un banchetto tra signori dabbene, dopo mesi di peregrinazioni nella fredda e nebbiosa campagna del Gévaudan. Non è infatti mistero che il sopraffino e capriccioso palato della famiglia De La Molette sia quotidianamente allietato dai piatti delle tre fedelissime cuoche della tenuta di caccia di Saint Alban e che ovviamente si occuperanno del prossimo banchetto. Domique Crenn, Marguerite Bise e Annie Feolde sono da anni irrinunciabili membri della servitù di casa Morangiés e padrone incontrastate della cucina, che gestiscono con lo stesso orgoglio e senso del dovere delle più alte cariche di Francia. Silenziose e operose, le tre sono da sempre una certezza per i nobili del luogo che non oserebbero mai assaggiare altro che non sia passato prima dalle sicure e fidate mani delle loro cuoche. Tuttavia c'è chi tra la servitù maligna che il trio, oltre che a far andar le mani, sia anche avvezzo a tener per bene aperti occhi e orecchie.
"Per arrivare al cuore di un uomo, il modo migliore è passare dalla bocca."
MESSIEURS
Agricoltore, bracconiere e oste, Jean Chastel vanta nella sua progenie ben nove figli.
Vive in una sperduta capanna nei cupi boschi del Gévaudan e non ama i forestieri: detesta soprattutto gli improvvisati cacciatori in uniforme inviati nello Gévaudan per risolvere il caso della Bestia. Durante le sue rare apparizioni nel consorzio civile non perde occasione per sminuire il lavoro di Duhamel e dei suoi dragoni o per ridicolizzare quel “cialtrone di D’Enneval”. Sugli Chastel si rincorrono voci sinistre, alcune delle quali vogliono che siano in realtà dei loup-garoux (lupi mannari), o che la Bestia altro non sia che uno dei repellenti cani di Jean addestrati a uccidere. Chastel e i suoi figli sono temuti e associati a un cupo immaginario di superstizioni, al punto che il loro patriarca viene chiamato “De La Masca”, dall’occitano “Figlio della Strega”. Nonostante la scarsa alfabetizzazione della regione, Jean Chastel vanta doti di scrittura e lettura anomale per il suo status, e spesso firma atti parrocchiali e discutibili poemetti satirici contro le autorità.
“Prendete un prosciutto affumicato, incipriatelo e insaccatelo in una uniforme color paglia. Avrete il signor Duhamel. Prendete una libbra di lardo normanno e impanatela di chiacchiere e vanaglorie e otterrete Monsieur D’Enneval, lo sterminatore di lupi!”
Figlio di Jean Chastel, assieme alla famiglia vive nei boschi nel nord della regione, dove si guadagna da vivere cacciando di frodo e svolgendo di tanto in tanto compiti di guardiacaccia per il Marchese d’Apchier. Ha una passione per la famiglia animale dei canidi, di cui studia comportamenti, usi e metodi di allevamento. Si dice che consumi da anni un rapporto incestuoso con la sorellastra Catherine, con cui si sarebbe addirittura sposato in una parrocchia vicina. Gli Chastel, e Claude non fa certo eccezione, sono noti per la loro vita selvaggia e sregolata, nonché per le loro malefatte e burle. In Agosto, Claude e il padre Jean hanno hanno tirato un brutto tiro ad alcuni guardiacaccia di De Beauterne durante una battuta, depistandoli e facendoli finire in un pantano.
Non contenti, sono rimasti li a godersi la scena deridendo i malcapitati. Da allora gli Chastel sono oggetto di continue accuse e il principale argomento di malignità nella regione.
“Io non sono un cane: gettami un osso e mi prenderò anche quello del tuo braccio.”
Barthelemy è il fratello di Jean Chastel, l’unico sopravvissuto alla moria di fratelli che ha colpito la famiglia.Strano segno del fato, dal momento che si dice che Barthélémy sia nato morto e che tale sia rimasto per dodici ore, emettendo il suo primo vagito solo una volta deposto nella piccola bara di legno.Barthélémy è conosciuto in tutta la parte nord della regione ed è considerato “il portavoce” della famiglia: è lui che si occupa dei traffici del fratello e mantiene gli sparuti rapporti con le comunità della zona.La sua esperienza nel trattare gli animali l’ha reso il punto di riferimento per ogni allevatore di Montchauvet: ferite, gravidanze, malattie da curare e vitelli da svezzare, non c’è nulla che Barthélémy non sappia fare.L'uomo è terribilmente superstizioso e quasi soffocato da una coltre di assurde ritualità, ma ha il pregio di saper comunicare con gli animali come con gli uomini, forse meglio.La sua arma preferita per la caccia è l’arco, dato che disprezza l’utilizzo delle armi da fuoco.
“Quando caccio fuori un vitello dalla pancia della madre, tutto insanguinato e tremante, sembra un piccolo cristiano fatto e finito. Questa cosa mi dà da pensare…”
Terzogenito di un'umilissima famiglia, è riuscito a scampare alla vita ecclesiastica riservata ai suoi fratelli maggiori e a studiare medicina con fatica alla facoltà di Reims.
Tornato nel Gévaudan ha assunto il ruolo vacante di medico condotto, occupandosi sia dei signori del luogo che dei pochi altri borghesi in grado di permettersi le sue cure.
Nonostante l’isolamento del Gévaudan, Alexandre ha sempre cercato di tenersi aggiornato sulle ultime scoperte in campo medico e scientifico, grazie soprattutto all’amicizia e al mecenatismo del Marchese d’Apchier. Profondamente affascinato dai nuovi esperimenti di Jenner e dal crescente interesse sugli studi anatomici e chirurgici, si è guadagnato una inquietante fama tra la gente del posto anche a causa del suo carattere riservato e riflessivo.
A prescindere dalle dicerie, è innegabile il ruolo fondamentale che svolge come punto di riferimento per la popolazione e per la cura della delicata salute della famiglia Morangies.
“Un uomo di scienza in una regione di oscure superstizioni
è una lanterna che accresce la sua luce nel buio.”
Renaud ha raggiunto la sua posizione attraverso il duro lavoro e una perseveranza encomiabili. Duro lavoro nell’entrare nelle grazie delle personalità che contano della regione, mediante l’adulazione, il doppiogiochismo, il raggiro e una sapiente diffamazione dei rivali.
La perseveranza è quella che gli ha consentito di intrecciare invece una fitta rete di clientele tra la comunità di Saint-Chély-D’Apcher, contatti che gli garantiscono il supporto della borghesia e che generano una serie di introiti accessori che gli consentono di far fronte ai suoi vasti e variegati appetiti. Ovviamente non mancano le malelingue, i risentimenti e le invidie nei suoi confronti, ma Gouldry ha sempre tenuto da conto le opportune amicizie e i bollenti segreti che gli garantiscono una certa protezione dai suoi numerosi nemici.
Proverbiale risulta anche la capacità di sfruttare a suo favore gli errori e le debolezze dei suoi avversari. Questo scranno di menzogne e brighe però comporta un notevole logorio dei nervi, una pessima disposizione d’animo che Renaud ha la cattiva abitudine di sfogare tra le quattro mura della sua casa. Lontano da occhi e orecchie indiscrete che, si capisce, potrebbero essere anche quelle di chi gli vuole male.
“Tutti hanno le mani sporche, a questo mondo:
avrà successo chi ha l’accortezza di portare i guanti.”
Terzogenito di una modesta famiglia di Marvejois, padre Fabrice Durand è il parrocco di Saint-Chély-d'Apcher. Distintosi fin da subito come prete colto, aperto e curioso, dotato di uno spirito affilato e di un’intelligenza fuori dal comune è divenuto presto una delle personalità più famose e rispettate nel nord della regione, tanto che il Marchese di Morangies lo ha chiamato come precettore per il suo maschio primogenito e lo ha preteso come confessore della famiglia. Da diversi anni Durand alterna i suoi offici come pastore della comunità di Saint-Chély d’Apcher e di conforto spirituale presso la casa dei Morangies, dove si reca almeno due volte al mese. La sua vivacità di pensiero lo qualifica come un valido interlocutore per chiunque, dagli austeri nobili della provincia, ai contadini illetterati fino ai pensatori più radicali e “parigini”. Non vi è questione teologica e filosofica di cui padre Durand non ami dibattere, tanto che di lui si dice questo: “Quando parli con Durand, ti dimentichi che è un prete.”
“La Fede e la Ragione sono l’anima e il cuore dell’uomo saggio"
Olivier Lavalle, arcidiacono della parrocchia di San Giacomo di Saint-Chély d'Apcher, è da ormai qualche anno assurto alla carica di gran elemosiniere della diocesi di Mende.
Attraverso questo prestigioso e ambito incarico ha potuto quindi occuparsi direttamente degli affari di sua eccellenza Gabriel-Florent de Choiseul-Beaupré, Vescovo e Conte del Gévaudan. Pierre è persona assolutamente austera e riservata, qualità che lo hanno reso adatto al compito di segretario particolare del vescovo. Grazie alla sua comprovata fedeltà, sua eccellenza de Choiseul-Beaupré ha maturato un’assoluta fiducia nel proprio assistente, tanto da avergli affidato non solo il compito di tesoriere della diocesi, ma anche quello, ben più delicato, di proprio delegato anche negli affari correnti. Suo il compito di filtrare la corrispondenza, intrattenere gli ospiti, curare l’agenda e il cerimoniale del capo della diocesi.
Nonostante il carattere burbero e arrogante del vescovo-conte lo abbia più volte indispettito, Pierre sa bene che la sua posizione lo pone come una figura assolutamente centrale non solo internamente alla diocesi, ma anche nell’intreccio delle relazioni tra aristocrazia e clero dell’intera contea.
“Non c'è niente di male a tenere un segreto se la verità può ferire qualcuno”
Sébastien era stato un bambino felice ma non si poteva dire che avesse avuto un’infanzia ordinaria. Lui e sua sorella Sylvie erano cresciuti senza una madre, accuditi solo dall’amore ruvido di un vecchio cacciatore che stentava a sentirsi un padre.
Se sua sorella era cresciuta altrettanto dura, lui aveva coltivato una mente brillante, avida e curiosa. Ricordava ancora col sorriso quando da piccolo aveva raccolto pietre dalle forme bizzarre per poi catalogarle o collezionato i ciuffi di pelo incastrati nelle cortecce degli alberi. Negli anni aveva divorato ogni libro di botanica, zoologia e mineralogia sul quale era riuscito con estrema difficoltà a mettere le mani, sebbene rimanessero desolatamente troppo pochi. Quando la Bestia aveva mietuto la prima vittima, gli occhi di Sébastien non si erano riempiti di orrore come quelli di tutti gli altri bensì di speranza. La speranza che se avesse avuto modo di comprendere per primo la natura di tale incredibile fiera, avrebbe davvero potuto fregiarsi del titolo di naturalista come il famoso Philibert Commerson.
“La strada verso la comprensione è il più incredibile dei viaggi.”
Vincent era cresciuto nello Gévaudan e si era fatto soldato alla tenera età di 12 anni, una scelta ingenua dettata dall’entusiasmo della gioventù.
La sua esperienza, tuttavia, fu oltremodo traumatica e il suo desiderio di servire sotto le armi del Re dovette fare i conti con un innato disgusto per la violenza e il sangue, che lo costrinsero ad abbandonare la professione. Intraprese allora, non senza qualche perplessità da parte della sua povera famiglia, una strada che potesse comunque permettergli di fare del bene alla sua comunità, e decise di entrare in seminario. Vincent era un giovanissimo entusiasta, apprezzato da tutti: un ragazzo con gli occhi dolci e un sorriso delicato, che aveva sempre parole gentili per chi cercava conforto e che nutriva profondo rispetto per gli insegnamenti delle Sacre Scritture. L’arrivo della Bestia aveva inflitto agli abitanti di Mende un senso di smarrimento che Vincent sentiva di dover lenire, consapevole del fatto che solo una fede salda come la sua poteva rappresentare una luce nell’abisso della paura.
“In questo impero della Morte, io servo la vita.”
MESDAMES
Marie Jeanne Valet lavorava come serva presso la parrocchia di Paulhac: era una fanciulla giovane, docile e spensierata prima che l’ombra del Demonio la avvolgesse in tutto il suo orrore. La mattina dell’11 Agosto 1765, mentre stava percorrendo la strada che collega Paulhac alla fattoria dei Broussoux in compagnia della sorella minore Therese, Marie-Jeanne venne assalita dalla Bestia. Con una risolutezza e una prontezza d’animo di cui la fanciulla si credeva incapace, armata solo di una rozza baionetta inastata su di un bastone da pastore, Marie-Jeanne ferì la Bestia, piantando otto centimetri di lama nel suo corpo.
Solo in virtù di questo limpido, feroce atto di disperazione fu in grado di mettere in salvo se stessa e la sorella minore. La sua vita, dapprima insignificante, venne innalzata ai clamori delle cronache locali: Marie-Jeanne fu invitata nelle case dei signori e alla testa di processioni religiose in tutta la regione. Giovane, rosea e bella come la Vergine, divenne per la povera gente del Gévaudan il simbolo di una luce innocente in grado di spezzare le tenebre. Tra i fumi dell’incenso Marie-Jeanne si era trasfigurata nella Pulzella del Gévaudan.
“Nel tempo dei lupi, l’Angelo di Dio vestirà il grezzo panno del pastore.”
Di tutti gli Chastel, Catherine è quella che più di ogni altro attrae sinistri pettegolezzi e sulla quale la superstiziosa collettività ha tessuto una ragnatela di buie leggende. Figlia di Jean Chastel, vive in una capanna sperduta nei boschi con il padre e il fratellastro Claude, con il quale si dice consumi una relazione incestuosa. Catherine è una strega, conosce strade segrete nella foresta e tutte le ricette per poter curare con le erbe, distillare filtri dagli effetti prodigiosi e veleni. Si dice abbia aiutato diverse donne dei villaggi vicini a partorire e che abbia praticato anche diversi aborti sotto pagamento. Nessuno l’ha mai vista a La Besseyre-Saint-Mary o nei borghi vicini negli ultimi dieci anni ma i pochi che affermano di averla incrociata nella foresta raccontano di una fanciulla dall’aspetto selvaggio e dallo sguardo spiritato: occhi che portano dentro di sé la notte della foresta.
“I boschi del Gévaudan e le loro nebbie di latte mi proteggono dal vostro giudizio.”
Agnes è la figlia di Jean Chastel e sorella maggiore di Catherine e Claude. Svezzata in un ambiente duro e lontano dal consorzio civile, è stata istruita sin da piccola ai rudimenti della caccia, come un qualunque altro maschio della famiglia. Il padre ha un debole per questa figlia irrequieta e per il suo temperamento sanguigno; ancorché donna, Agnes è stata per molti anni la più probabile candidata alla successione del padre nel governo dell’impero sommerso degli Chastel. Il suo coraggio e l’assoluta noncuranza del pericolo l’hanno trascinata più volte in situazioni rischiose, fino a provocarle un brutto incidente con cervo maschio nel bosco di Chazes, che l’ha segnata con una brutale cicatrice che le deturpa il viso.
Quell’incidente ha convinto Jean che Agnes non era la persona giusta a guidare la famiglia e l’ha quindi relegata al ruolo di lupo gregario del branco. Accogliendo di buon grado questa decisione paterna, la ragazza ha continuato a cacciare con la sua solita feroce spensieratezza, sviluppando una notevole conoscenza dei sentieri e delle zone selvagge del nord della regione.
A differenza della sorella Catherine, ha sempre provato un certo timore nei confronti della zia Antoinette e delle sue pratiche pagane. Molto spesso Agnes sparisce per settimane nei boschi a est per cacciare di frodo, abbandonando la casa e le terre paterne. Nessuno della famiglia sa dove si nasconda, ma ritorna sempre, come se niente fosse, a prendere il suo posto alla tavola degli Chastel.
"Se sei un lupo, è molto difficile che ti possano legare a un albero come un agnello."
Antoinette è la sorella di Jean Chastel, l’unica sopravvissuta alla moria di fratelli che ha colpito la famiglia. Strano segno del fato, dal momento che si dice che Antoinette sia nata morta e che tale sia rimasta per dodici ore, emettendo il suo primo vagito solo una volta deposta nella piccola bara di legno. Antoinette è conosciuta in tutta la parte nord della regione ed è considerata “la portavoce” della famiglia: è lei che si occupa dei traffici del fratello e mantiene gli sparuti rapporti con le comunità della zona.
La sua esperienza nel trattare gli animali l’ha resa il punto di riferimento per ogni allevatore di Montchauvet: ferite, gravidanze, malattie da curare e vitelli da svezzare, non c’è nulla che Antoinette non sappia fare. La donna è terribilmente superstiziosa e quasi soffocata da una coltre di assurde ritualità, ma ha il pregio si saper comunicare con gli animali come con gli uomini, forse meglio. Dove la nipote può essere considerata una strega, Antoinette è una sorta di riferimento spirituale della famiglia, forte di una concezione mistica e sacrale della natura.
La sua arma preferita per la caccia è l’arco, dato che disprezza l’utilizzo delle armi da fuoco.
“Quando caccio fuori un vitello dalla pancia della madre, tutto insanguinato e tremante, sembra un piccolo cristiano fatto e finito. Questa cosa mi dà da pensare…”
Nata in una famiglia di umili origini ma benedetta da una bellezza angelica, questa fanciulla del Gévaudan è cresciuta nell’ombra del suo dono, che l’ha spinta a sfruttare sempre più spesso le piacevolezze del suo aspetto per ottenere quello che desiderava. I suoi desideri sono molteplici e la riconducono tutti all’ambizione di sfuggire dalla condizione sociale in cui è nata. Con il tempo questa sua propensione ha assunto connotazioni moralmente discutibili, tanto che la donna è divenuta molto popolare tra gli uomini del paese natio, ma al contempo disprezzata dalle relative mogli. Non appena Eloise è riuscita a introdursi in letti più “altolocati”, sul suo petto sono cominciati a comparire gioielli costosi, e le forme mature del suo corpo hanno cominciato a fasciarsi di sete preziose. Oltre a munifici benefattori terreni, Eloïse deve avere anche un angelo custode che la protegge da lassù: durante uno dei suoi appuntamenti amorosi al limitare della foresta, la donna si è ritrovata davanti alla Bestia, che ha tuttavia deciso di ignorarla benché fosse una facile preda.
“Stimo l’amore sopra ogni cosa: sono tra le poche donne di Mende
a seguire il Vangelo alla lettera.”
Quando Madeleine aveva sposato Renaud Gouldry aveva immaginato una vita d'amore e soddisfazione e così in effetti era stato. Non di certo grazie a lui. I litigi della famiglia Gouldry erano ormai talmente frequenti da non costituire più nemmeno materia di pettegolezzo ma Madeleine teneva la barra del timone dritta e sopportava di buon grado le intemperanze di quel diavolo d’uomo, conscia di avere qualcosa di molto più importante a cui badare: la sua adorata e cagionevole figlia e la sua comunità. Come una madre attenta e amorevole, Madeleine aveva sempre prestato attenzione ai bisogni della gente e questa sua dedizione le aveva garantito una certa considerazione tra gli abitanti della parrocchia di Saint-Chély-D’Apcher. Suo marito Renaud, il Maire, poteva anche avere l’autorità per amministrare gli affari della comunità ma era ai suoi occhi poco più che un segretario e un trafficante. Lei possedeva qualcosa di molto più prezioso: il rispetto dei cittadini e la loro fiducia.
Fiducia che non avrebbe mai mancato di meritare facendosi portavoce di ogni istanza senza timore o esitazione e dimostrando di essere il vero punto di riferimento della sua gente.
"Ciò che non giova all'alveare non giova neppure all'ape."
Lo Gévaudan era una terra aspra in cui la vita si trascinava tra magri raccolti e inverni taglienti e Arianne lo sapeva bene perché questo era quello che la sua famiglia, stabilitasi lì generazioni prima, le aveva continuato a ripetere. Tra quei campi nebbiosi Arianne si era sposata e aveva cresciuto suo figlio con gli stessi umili e sinceri ideali di fatica e generosità che le erano stati impartiti. Eppure, un giorno, la sciagura più atroce si abbatté sulla sua vita, lasciandola in frantumi e senza più lacrime: una sera di agosto del 1764 il suo giovanissimo primogenito fu preso dalla Bestia, che lo trascinò nei boschi per non restituirlo mai più.
Suo marito, reso folle dal dolore, cominciò a battere i boschi come un ossesso fino al giorno in cui lo trovarono appeso a un albero. Le lacrime ghiacciate sul volto dell’impiccato erano tutto ciò che restava di un dolore che nel cuore della forte Arianne si era trasformato in un desiderio ardente di verità e vendetta.
“Il dolore ha intagliato nel mio petto un cuore di vendetta: freddo e spietato come l’inverno.”
Quando il dottor Moreau aveva espresso il desiderio di formare un assistente per far fronte all'ingente mole di lavoro alla quale le parrocchie di Saint Alban e Saint Chély d'Apchier lo sottoponevano, non c'era certo stata la fila; situazione prevedibile data la reputazione di persona schiva e a tratti un po' inquietante che il medico si portava appresso.
La giovane Danielle Leroux aveva invece accolto con inspiegabile entusiasmo la nuova prospettiva, ben felice di fuggire alla miseria contadina che la campagna del Gévaudan le offriva e conquistandosi in breve tempo la più profonda fiducia e stima del suo mentore. Il suo piglio schietto e deciso aveva più volte messo in riga personalità ben più illustri e non era mistero che le uniche autorità che la giovane apprezzasse davvero fossero quelle in campo medico. Moreau ne rideva, ben lieto di avere intorno una così volenterosa e capace assistente invece che il solito inutile damerino.
"Dottore le bende sono pulite e i ferri pronti. Possiamo iniziare?"
Sylvie non si dava pace da quando quel dragone aveva richiamato tutti i compaesani nella piccola piazza di Langogne e la folla aveva esultato alla notizia.
E che notizia maledetta, invece, era stata per Sylvie! Per lei che da più di un mese seguiva le tracce di quella dannatissima Bestia, da quella prima vittima innocente che aveva strappato alla vita con le sue fauci mortali. Poteva giurare di averla avuta sulla canna del suo moschetto qualche sera prima che la notizia dell’arrivo del Gran Portatore d’Archibugio del Re si diffondesse nel suo villaggio, lo stesso villaggio che l’aveva celebrata per le sue virtù di cacciatrice attenta, abile, spietata. Sylvie era rispettata come era stato rispettato suo padre prima di lei, che aveva speso i suoi ultimi mesi di vita ossessionato dalla caccia a quella Bestia demoniaca. No… quella era la sua caccia, la sua battaglia: e ora il Portatore di Archibugio del Re pretendeva di portargliela via!
Di una cosa Sylvie era certa: nessuno prima di lei avrebbe tagliato la gola alla Bestia.
“Lentamente, metto in bocca della neve, così lui non vedrà il mio respiro…”
Sèbastienne era stata una bambina felice ma non si poteva dire che avesse avuto un’infanzia ordinaria. Lei e sua sorella Sylvie erano cresciute senza una madre, accudite solo dall’amore ruvido di un vecchio cacciatore che stentava a sentirsi un padre.
Se sua sorella era cresciuta altrettanto dura, lei aveva coltivato una mente brillante, avida e curiosa. Ricordava ancora col sorriso quando da piccola aveva raccolto pietre dalle forme bizzarre per poi catalogarle o collezionato i ciuffi di pelo incastrati nelle cortecce degli alberi. . Negli anni aveva divorato ogni libro di botanica, zoologia e mineralogia sul quale era riuscita con estrema difficoltà a mettere le mani, sebbene rimanessero desolatamente troppo pochi. Quando la Bestia aveva mietuto la prima vittima, gli occhi di Sébastienne non si erano riempiti di orrore come quelli di tutti gli altri bensì di speranza. La speranza che se avesse avuto modo di comprendere per prima la natura di tale incredibile fiera, avrebbe davvero potuto fregiarsi del titolo di naturalista come il famoso Philibert Commerson.
“La strada verso la comprensione è il più incredibile dei viaggi.”
Della sua infanzia Aliénor ricordava poco: un libro di favole davanti al fuoco, il brodo caldo che sua madre le allungava lentamente col cucchiaio e la febbre.
Non era un mistero nella parrocchia di Saint-Chély-D’Apcher che Madeleine Gouldry, dopo tanti anni di matrimonio infecondo, avesse pregato Dio per il dono di una figlia ed Egli infine l’avesse ascoltata, concedendole una meravigliosa bambina tanto dolce quanto fragile.
Aliénor non era fatta per l’inclemente e aspra campagna del Gévaudan ma nonostante i terribili dolori che ancora a volte la costringevano a letto per settimane, come era solito dire il dottor Moreau, amava la vita più di ogni altra cosa. Benvoluta da tutti i suoi concittadini, la sua risata luminosa era l’unica cosa in grado di sciogliere il burbero cuore di suo padre e, sebbene molti giovani avessero chiesto la sua mano, ella aveva sempre rifiutato, incapace di condannare un altro a una vita al fianco della malattia e della sofferenza che la accompagnavano. Così era stato, fino a quel momento in cui tutto cambiò.
“Vita e morte sono due facce della stessa medaglia.
Non temo la Bestia poiché non temo la morte. L’ho accettata anni fa”.
Stéphanie aveva commesso tre errori nella sua vita.
Il primo fu non ascoltare il suo cuore quando suo padre le ordinò di sposare un uomo che non amava, che era bello ma non abbastanza, che era ricco ma non a sufficienza da permetterle di vivere la vita che aveva sempre desiderato. Stéphanie era figlia di un ex mugnaio che nello Gévaudan aveva fatto affari; tuttavia, dove la sua famiglia vedeva ricchezza, Stéphanie scorgeva solo contadini piegati sotto il ricatto della miseria.
Il suo secondo errore fu origliare una conversazione un mercoledì mattina, rubata mentre rincasava prima del previsto per colpa di una tempesta improvvisa. Stephanie sapeva però che né l’uomo che aveva sposato né le parole che aveva sentito sarebbero state la sua condanna; c’era una pietra conficcata nel suo petto che avrebbe voluto strappare con la stessa forza che usano i villani nello sradicare le malerbe.
Il suo terzo errore, il più grave, fu di non essersi macchiata di un crimine, grave per quanto necessario, quando avrebbe avuto l’occasione di farlo.
“Dio mi è testimone: riparerò ad ogni cosa.”
Lorraine desiderava avere un figlio da quando ne aveva memoria, ma il giorno in cui suo marito scomparse prematuramente, lasciandola sola e con una modesta bottega di sartoria a cui badare, capì che non ne avrebbe mai potuto avere uno. Si era allora dedicata anima e corpo al suo mestiere, e i suoi abiti avevano vestito molte donne di Saint Alban, tra cui alcuni membri della famiglia De la Molette. Il Marchese de Morangies in persona un giorno l'aveva voluta conoscere e, compatendo la sua solitudine, le aveva offerto un posto nella servitù e, successivamente, di fare da balia al suo primogenito. Lorraine aveva così conosciuto profondamente la famiglia De La Molette, forse anche più di quanto questa conosceva sé stessa, oltre a diverse verità celate sul conto di alcuni insospettabili abitanti del Gévaudan.
Al termine dei 4 anni di servizio, era infine ritornata a fare la sarta, occupazione che non aveva mai del tutto abbandonato. Ultimamente, però, non solo l’orribile operato di quella demoniaca Bestia stava disturbando la tranquillità di Lorraine: giravano strane voci su Charles-François, ma lei era certa che fossero tutte chiacchiere di invidiosi.
Lorraine si sentiva in fondo un po’ anche sua madre…e non c’era nulla al mondo che non avrebbe fatto per il suo bambino.
“Un figlio è come un albero: va fatto crescere ritto, o non darà mai frutti.”
Martine si era ritrovata perpetua perché aveva scelto di non concedersi a nessuno dei suoi pretendenti. Aveva imparato a leggere dallo zio prete e fu durante il servizio presso la casa del Marchese d’Apchier che arrivò a conoscere certe idee “moderne” che andavano di moda nella Capitale. “Una donna non dovrebbe occuparsi di politica!” era il severo ammonimento che tutti le ripetevano, e Martine era così stata messa di fronte ad una scelta: sposarsi o trovare una sistemazione che giustificasse la sua vita libera e solitaria.
Aveva dunque deciso di servire come perpetua presso il parroco di Saint-Chely d'Apchier mentre, di nascosto, continuava a frequentare la biblioteca del Marchese, che ricambiava con bonaria simpatia la sua devozione e la curiosità. Gli eccidi della Bestia, tuttavia, avevano gettato un’ombra anche sulla vita di Martine, che già sognava di lasciare le umide terre che l’avevano messa al mondo. Ora che il Re aveva mandato il suo portatore d’Archibugio qualcosa sarebbe potuto cambiare… la Storia era arrivata infine anche nel remoto Gévaudan.
“Dio mi ha dato un pensiero e una ragione che sono costretta a nascondere.”
Violette è una mite ragazza di Saint Alban, unica figlia femmina di una famiglia composta da soli maschi, e fin da bambina aveva mostrato una grande predisposizione per il lavoro manuale e la sartoria: visitava spesso con la madre la bottega di Lorraine Dagenais e rimaneva affascinata dalle stoffe, dai loro colori vibranti, dagli abiti confezionati che la sarta rifiniva con cura. Quando Lorraine sentì la necessità di allargare la sua bottega, in un periodo in cui gli affari stavano andando particolarmente bene, la sarta si rese conto le che le sue sole mani non erano più sufficienti a portare a termine la mole di lavoro che si stava accumulando: era necessario formare un’apprendista e sapeva bene a chi fare tale proposta.
Violette accettò con entusiasmo, diventando così la sua giovane ma promettente assistente.
Tutte le persone che entravano in bottega rimanevano colpiti da quella ragazza gentile, silenziosa ed efficiente, dai folti capelli castani e dal sorriso timido. Nonostante gli eccidi della Bestia la terrorizzino, Violette osserva ancora il mondo con curiosità e spirito positivo.
"Oggi è possibile confondere uno scultore con un sarto, perché tutti e due creano delle forme"
MESSIEURS
Figlio di un influente magistrato parigino e con un destino da notaio già deciso davanti a sé, Philibert si è innamorato della botanica fin dalla più giovane età, mandando in fumo i piani che il padre aveva stabilito per lui e frantumando per sempre il loro rapporto.
Conquistato il tanto agognato titolo di naturalista con gli studi a Montpellier, ha deciso poi di proseguire l'approfondimento della materia sul campo, visitando non solo le Alpi, i Pirenei, la Savoia e la Svizzera ma spingendosi fino ai confini del mondo conosciuto come naturalista di bordo in diverse importanti spedizioni.
Tornato a Parigi dopo diversi anni con gli occhi colmi delle meraviglie del Madagascar, delle Mauritius e di Tahiti, ha creato finalmente il suo orto botanico privato garantendosi un nome nel circolo dei naturalisti francesi e attirando su di sé perfino l'attenzione del Re.
Il primo atto di attenzione del sovrano nei suoi confronti, è stato tuttavia quello di inviarlo nella regione del Gévaudan al seguito del suo Portatore di Archibugio Francois Antoine de Beauterne.
“Non c’è un solo luogo in questo mondo all’ombra del sole della Ragione.”
Se il giovane Hadrien lavorasse già presso l'abitazione di Commerson come servitore prima della morte della moglie o se fu assunto a posteriori, nessuno sa dirlo.
Quel che è certo è che Baret è diventato presto una fedele ombra per il famoso naturalista e indispensabile assistente in ognuno dei suoi folli viaggi. Le malelingue dei salotti sostengono che sia poco più che un mendicante strappato dalla strada e attaccato alla saccoccia gonfia di denaro di Philibert ma chiunque abbia speso più di un istante in sua compagnia, non può avere ignorato il suo acume e la sua proprietà di linguaggio ma soprattutto, la profonda considerazione che Commerson gli garantisce senza mai esitare. Con spirito intrepido e passione per l'esplorazione, non c'è luogo dove mancherebbe di seguire il suo mentore.
“Commerson percorre il mondo con tale profondità di pensiero,
che talvolta si dimentica dove mette i piedi. Sarebbe perso senza di me!”
Jean-Charles Marc Antoine Vaumesle D’Ennevel è il più famoso cacciatore della Normandia, un coriaceo veterano che può vantare nella sua lunga carriera più di 1200 uccisioni di lupi.
Nel Febbraio del 1765 fu convocato nel Gévaudan su invito del Re, assieme al suo giovane rampollo. La disastrosa situazione ereditata dai suoi predecessori, primo tra tutti il pomposo e inconcludente Capitano dei dragoni di Clermont Jean Boulanger Duhamel, i modesti risultati ottenuti e la sua insofferenza nei confronti degli abitanti del Gévaudan lo resero presto malvisto nella regione. Quando, nel Maggio del 1765, la labile fiducia del popolo crollò definitivamente con la morte di una giovane ragazza a Julianges, D’Ennevel fu apertamente accusato di ogni possibile negligenza dall’Amministratore della Diocesi di Mende e dai Signori Morangies. Solo il suo onore e il suo orgoglio smisurato di cacciatore gli impediscono di lasciare la regione: il vecchio e abile D’Ennevel ammazzerà questa Bestia come qualunque altro lupo e getterà la sua carcassa rognosa ai piedi del trono del Re.
“Caccio i lupi perché ho il cuore di un cane. Oggi disprezzate la sua durezza,
domani rispetterete la sua fedeltà.”
Figlio del rinomato cacciatore di lupi Jean-Charles Marc Antoine Vaumesle D’Ennevel e abile guardiacaccia, Basile giunge nella regione assieme al padre nel Febbraio del 1765.
A causa del carattere duro e diffidente del padre, Basile è stato a sua volta oggetto dell’ostilità e del disprezzo dei locali. Nonostante questo, ha fatto di tutto per farsi benvolere dalla popolazione, cercando di mettere in buona luce il padre e il suo operato non sempre eccellente. Nel corso dei mesi passati nel Gévaudan si é guadagnato la fiducia e l'amicizia di diversi abitanti del luogo e ha fatto in modo di sciogliere molti pregiudizi sul suo conto, aiutando dove poteva anche nei compiti più umili. Più di una volta ha raccolto gli amari sfoghi del vecchio cacciatore e più di una volta lo ha dissuaso dal lasciare la regione: c’è qualcosa di profondo e misterioso che lega Basile a questa terra ferita e tenebrosa. Redenzione, amore o la forza di un destino superiore… solo Dio può saperlo.
“La Caccia è un destino per noi D’Ennevel.
Finirà solo con la morte della Bestia......o con la nostra.”
La madre francese aveva insegnato a Henri Philippe il gusto per le lettere, le lingue e la buona dizione. Il padre, protestante e inglese, per la menzogna e gli affari.
Sulle sponde rivali della manica, nel suo cuore sapeva di non poter rinnegare la fede paterna: la Francia cattolica non l'avrebbe mai accettato, le mani ancora lorde dei massacri degli ugonotti. Così Moore diventa "Boulogne", la firma sotto gli articoli più pruriginosi sui vizi e le perversioni della nobiltà di corte. I giornali vanno a ruba. Versailles ribolle di rabbia e la censura si abbatte così una prima volta sul capo di Henri Philippe, che finisce in carcere. Uscitone, si avventa sul caso della Bestia: sotto pseudonimo, inonda le strade di Parigi di accuse veementi, spedisce decine di articoli anche a Londra, dove i britannici sghignazzano sulla testa di Luigi XV. Mancava il gran finale: Sarebbe bastato andare nel Gévaudan per riportare la storia di un colossale scandalo, documentando l’inettitudine degli uomini del Re. O forse no?
"La verità è solo una splendida menzogna."
Jules Hercule De Ventadour, il maestro delle danze, il giocatore, l’implacabile seduttore, l’anima della festa. Jules ha sempre un divertente aneddoto per ogni situazione e un campionario di maligni pettegolezzi per intrattenere i cortigiani di Versailles.
La cosa che più terrorizza Jules è di essere all’oscuro di qualcosa, qualunque essa sia: dalla cronaca parigina allo scandalo della settimana. Il suo modo di vestire, di parlare, di brigare sono curati in ogni dettaglio e occupano una parte importante della sua vita, una vita consacrata alla costante ricerca di stimoli. Questa sete di distrazioni lo rende al contempo la persona più attiva e annoiata di corte. Per lui ormai ogni pettegolezzo è già sentito e ogni esperienza sa di vecchio. Sotto incitamento della sua amica Etteilla e su approvazione di Luigi XV in persona, (che forse lo voleva fuori dai piedi per un pò) De Ventadour si unisce alla spedizione degli inviati del Re nello Gévaudan. D’altronde Jules non può certo restare all’oscuro della cronaca sull’uomo nero più temuto di Francia!
La sua segreta speranza è quella di trovare, nelle nebbiose lande occitane, qualcuno o qualcosa in grado di pungolare la sua noia.
"Non c'è conversazione più noiosa di quelle dove tutti sono d'accordo"
A diciassette anni Lazare Lacoste finì impiccato. Era stato benvoluto fin da piccolo dai miti monaci della Grand Chartreuse, scambiando un tributo di selvaggina col permesso di cacciare nelle loro foreste. Gli stessi monaci che, con grande profitto per loro e altrettanto diletto per Lazare, producevano il suo amato liquore verde e forte, dalla ricetta secolare e segretissima. Qualche sorso, ogni tanto, però, non bastava a placar la sete di Lazare: accusato dai religiosi di furto e braccato nei boschi dai gendarmi, fu arrestato e appeso alla forca.
Come abbia fatto a scamparla, nessuno lo può dire. Da allora, a testimoniare il fatto, restano i segni della pelle del collo brunita dalle corde del cappio, un odio per i tonacati che manifesta con invettive rese animalesche dalla voce roca, eredità della forca, e una rinnovata passione per il bere. Ma, più di queste, Lacoste ha scoperto di non aver più paura. Né della carica di un cinghiale inferocito, né di una pistola puntata alla testa. Ed è per questo che i nobilotti di Parigi, lacunosi in fatto di attributi, lo vogliono come servitore, pur brutale, sbrigativo e spesso ubriaco, fino a raccomandarlo ai Guardiacaccia reali.
Per poterlo usare nella caccia alle bestie, o, a seconda della necessità, agli uomini, Lo strumento perfetto per la questione del Gévaudan.
“N’est Pas, Monsieur?”
MESDAMES
Figlia di medici borghesi, Angelique ha fatto del suo sogno di studiare medicina una battaglia da vincere non solo per sé ma anche per tutte coloro che sarebbero venute dopo.
Ottenere fama e rispetto in campo medico non è cosa da poco per una donna come lei, ma Angelique non si è mai risparmiata dal lottare a suon di petizioni e proteste, conquistandosi in poco tempo la direzione della sezione di ostetricia dell’Hôtel Dieu di Parigi e la cura di personalità di alto lignaggio. Diventata ben presto una figura di riferimento per tutte coloro che desideravano diventare ostetriche, ha fatto del suo lavoro una missione di divulgazione con profondo impegno. Negli anni di pratica ha aiutato centinaia di donne a ridurre la mortalità durante il parto così come le infezioni, formando decine e decine di sage-femme e ottenendo un incarico ufficiale dal re in persona per viaggiare nelle regioni più rurali della Francia e portare la sua scienza. In virtù delle sue pregresse attività formative nel Gévaudan e per volontà di Luigi XV, accompagna la delegazione reale come esperto medico.
“Il Re è il primo dei figli di Francia: per questo gli devo la mia assoluta devozione.”
Se la giovane Hadrianne lavorasse già presso l'abitazione di Commerson come domestica prima della morte della moglie o se fu assunta a posteriori, nessuno sa dirlo.
Quel che è certo è che Baret è diventata presto una fedele ombra per il famoso naturalista e indispensabile assistente in ognuno dei suoi folli viaggi. Le malelingue dei salotti sostengono che sia poco più che una mendicante strappata dalla strada e attaccata alla saccoccia gonfia di denaro di Philibert ma chiunque abbia speso più di un istante in sua compagnia, non può avere ignorato il suo acume e la sua proprietà di linguaggio ma soprattutto, la profonda considerazione che Commerson le garantisce senza mai esitare. Con spirito intrepido e passione per l'esplorazione, non c'è luogo dove mancherebbe di seguire il suo mentore.
“Commerson percorre il mondo con tale profondità di pensiero,
che talvolta si dimentica dove mette i piedi. Sarebbe perso senza di me!”
Svariati pettegolezzi ammantano il passato di Adélaide ed ella stessa ne sorride educatamente, fornendo risposte vaghe ogni qual volta le vengono rivolte pruriginose domande circa le sue origini. C'è chi a Corte maligna che abbia fatto mille lavori, finanche quelli più vili e disprezzabili, ingraziandosi le parrucche incipriate di Versailles sia nelle camere da letto che ai tavoli da gioco. I più audaci suggeriscono che dietro a ogni prezioso che indossa si celi un capriccio esaudito o una predizione accurata per sua Maestà in persona, che le tributa la fiducia più assoluta. Divinatrice, astrologa, cartomante e chiromante, ha surclassato infatti ogni rivale, conquistandosi la nomea di colta occultista, esperta nei diversi domini delle scienze esoteriche, seppellendo per sempre il suo passato sotto lo pseudonimo di Etteilla.
In considerazione delle sue conoscenze e capacità, su richiesta dello stesso Luigi XV, la “maga di Versailles” accompagna la delegazione reale nel Gévaudan, decisa a svelare il mistero della Bestia e della sua leggenda nera.
"Non mi stupisce che la caccia alla bestia non abbia dato frutti.
Una lama o una pallottola non possono scalfire ciò che è fatto di fumo."
Un bel giorno la famosa Etteilla era semplicemente tornata da uno dei suoi viaggi esotici con un'inaspettata ospite e nessuno a Versailles aveva fatto domande. Quantomeno apertamente. L'alone di mistero che ammantava la maga aveva ben presto inglobato anche la fanciulla al suo seguito e le teorie più disparate avevano iniziato ad infuocare di pettegolezzi le discussioni nei salotti. Qualsiasi fosse la sua origine, quella spaesata giovane poco più che bambina era diventata negli anni un'inquietante ombra dagli occhi spenti alle spalle di Etteilla, immancabile presenza in ogni sua seduta e fidata assistente.
Dal carattere schivo e desolatamente priva di quella naturale teatralità che aveva condotto la maga all'apice della fama, Vivienne possedeva la fastidiosa capacità di saper leggere nel cuore delle persone un po' più del dovuto.
Quando il Re aveva richiesto la presenza di Etteilla nel Gévaudan, lei aveva fatto i bagagli, pronta a seguire come sempre la sua signora in capo al mondo.
"È ad occhi chiusi e nel silenzio che si scorge la Verità"
Figlia del rinomato cacciatore di lupi Jean Charles Marc Antoine Vaumesle D’Ennevel e abile guardiacaccia, Bernice giunge nella regione assieme al padre nel Febbraio del 1765.
A causa del carattere duro e diffidente del padre Bernice è stata a sua volta oggetto dell’ostilità e del disprezzo dei locali. Nonostante questo Bernice ha fatto di tutto per farsi benvolere dalla popolazione, cercando di mettere in buona luce il padre e il suo operato non sempre eccellente. Nel corso dei mesi passati nel Gévaudan si é guadagnata la fiducia e l'amicizia di diversi abitanti del luogo e fatto in modo di sciogliere molti pregiudizi sul suo conto, aiutando dove poteva anche nei compiti più umili. Più di una volta ha raccolto gli amari sfoghi del vecchio cacciatore e più di una volta lo ha dissuaso dal lasciare la regione: c’è qualcosa di profondo e misterioso che lega Bernice a questa terra ferita e tenebrosa.
Redenzione, amore o la forza di un destino superiore… solo Dio può saperlo.
“La Caccia è un destino per noi D’Ennevel.
Finirà solo con la morte della Bestia… o con la nostra.”
Quando il sergente Gaudet tornò dalla Nuova Francia, lo fece con diverse cicatrici nel corpo e nello spirito ma soprattutto in compagnia di una giovane sposa Mohawk che gli fu “regalata” da un capo Urone. Aponi era una schiava di guerra, appartenente a una tribù che si era schierata con gli inglesi, e prima che do cadere nelle mani dei nemici dopo che questi massacrarono i suoi congiunti e il suo precedente marito. Secondo le parole del capo Urone, la giovane Mohawk aveva “qualcosa di sbagliato negli occhi”: un “soffio di morte” che la associava agli spiriti notturni e alle buie potenze della foresta. La notte in cui un lupo fece a pezzi il giovanissimo terzogenito del Capo, che dormiva in una tenda accudito da Aponi, gli Uroni si risolsero di sgozzare la schiava di guerra con l’accusa di aver evocato quello spirito in forma di lupo.
Fu allora che il sergente Gaudet la pretese come ricompensa per la sua alleanza con la tribù e si trovò poi costretto a lasciare la Nuova Francia. Da allora Aponi segue il suo nuovo padrone come un’ombra: ha imparato il francese e si muove con discrezione in una società civilizzata che la osserva con fascinazione e disgusto.
“La morte segue l’Uomo come un’ombra. Come io seguo te, Athanase.”
La madre francese aveva insegnato a Catherine Fleur il gusto per le lettere, le lingue e la buona dizione. Il padre, protestante e inglese, per la menzogna e gli affari. Sulle sponde rivali della Manica nel suo cuore sapeva di non poter rinnegare la fede paterna, non certo nella Francia cattolica, dalle mani ancora lorde del sangue ugonotto. Sotto lo pseudonimo maschile di “Boulogne”, riparo per una talentuosa penna di donna ugonotta che la Francia papista non avrebbe mai accolto, inonda la capitale di articoli scandalistici. Versailles ribolle di rabbia e la censura si abbatte una prima volta sul capo di Catherine Fleur che finisce in un convento di suore Orsoline per due anni, dove ha luogo un’umiliante quanto inutile “rieducazione” alla fede cattolica. Allo scoppio del caso della Bestia, Catherine si convince che sia la perfetta copertura per nuovi massacri di ugonotti lì, dove la fede riformata aveva ancora dei seguaci. "Boulogne" vede così materializzarsi, in un sol colpo, la speranza di rivalsa: sarebbe bastato andare nel Gévaudan per riportare a Parigi la storia di un colossale scandalo e, grazie ad esso, la fama e la ricchezza
"La verità è solo una splendida menzogna."
François Antoine De Beauterne è il Gran Portatore di Archibugio del Re, titolo onorifico riservato al primo cacciatore del Regno. Conosciuto in tutta la Francia per la sua esperienza in campo venatorio e per i servigi resi alla Corona, fu inviato nel Gévaudan nell’anno del Signore 1765 da Re Luigi XV in persona per debellare la piaga della Bestia.
François Antoine giunse nella povera regione dell’Occitania nel Luglio del 1765, dopo mesi di stragi e di fallimenti da parte di chi lo aveva preceduto in questa caccia.
L'arrivo di De Beauterne non fu accolto da tutti gli abitanti con favore: gli Chastel, quella dannata famiglia di bracconieri, tentarono persino di depistare alcuni suoi battitori e affogarli nella palude. A capo di una delegazione reale composta da eminenti figure di esperti, quattro tra i migliori guardiacaccia e i magnifici segugi della Louveterie Royale, De Beauterne è determinato a dimostrare quanto prima il valore della suo buon nome.
“La caccia è una guerra tra l’Uomo e la Bestia. La più antica, spietata e crudele.”
Jean Boulanger Duhamel non avrebbe mai potuto avere paura di un semplice lupo.
Lui, che da quando aveva quindici anni era stato abituato al morso del piombo delle pallottole e che si era guadagnato il grado di capitano sul campo nella guerra appena spentasi contro i maledetti prussiani, non si sarebbe fatto beffare da un animale qualsiasi! Eppure, questa "Bestia" aveva raggirato più volte i suoi dragoni e rischiava di mandare all'aria la sua carriera. Non avrebbe lasciato che uno stupido cane abnorme decidesse del suo destino. Avrebbe meritato di più che diventare lo zimbello del Gévaudan!
Avrebbe mostrato a tutti quanti, fino a corte, che ciò che faceva strage di innocenti doveva essere una belva alla sua altezza. Era l'unica ragione per cui fino a quel momento gli era sfuggita. Un mostro, emerso dalle storie sentite nel castello di suo padre, da piccolo.
"Sono tentato di pensare che stiamo combattendo una strega, o il diavolo in persona.
Se solo riuscissi a credervi.”
Il sergente del Secondo Battaglione del Royal Roussillon Athanase Gaudet, detto "Il Lupo", è un militare schivo e stravagante. Da veterano, porta sul corpo i segni lasciati dalla guerra contro gli inglesi nelle Indie Occidentali. Ferite, ma non solo. Là, in Quebec, conobbe la ferocia guerriera del popolo degli Uroni e i loro usi. Con loro, laggiù, combattè come alleato contro la preponderante forza delle giubbe rosse. Athanase apprese da loro l'arte di sopravvivere ai gelidi inverni all'addiaccio, di dipingersi il corpo per ingraziarsi gli Spiriti ma, soprattutto, apprese l'arte della caccia. Alla caduta dell'ultima città della Nuova Francia, Athanase decise di continuare la guerra al fianco delle tribù. Una lotta senza più regole, in cui la volontà dei nativi potè essere spezzata solo da una epidemia di vaiolo, deliberatamente provocata. Ritrovato in fin di vita da alcuni missionari, orrendamente sfigurato dal morbo, fu imbarcato su una nave diretta in patria. Insofferente per la vita nel consorzio civile, Athanase chiese al suo Colonnello di essere inviato nel Gévaudan. "Sono convinto di poter placare lo spirito di quella Bestia, Signore." disse al suo superiore, esterrefatto "Io sono come Lui."
“Il Vecchio Mondo mi si stringe attorno:
cerca di soffocarmi con i suoi cuscini e la sua educazione.”
Vernon volse il suo sguardo verso nord e si immaginò i bianchi cavalli del Gran Portatore di Archibugio del Re procedere nella nebbia più candida del loro manto.
Per un istante si vide davanti a lui e immaginò di potergli porgere buone notizie e di ottenere così un riconoscimento per tutti i suoi sforzi. Il giovane non aveva idea di come la Bestia potesse essere così scaltra che nemmeno il Capitano Duhamel – del cui reggimento, tra l’altro, Vernon faceva da poco parte – era riuscito ad abbatterla.
Sospirò e poi pensò a quella donna che aveva visto qualche mattina prima e al fuoco disperato che bruciava nei suoi occhi e pensò che, nell’afflitta regione del Gévaudan, nessuno ardeva con la stessa intensità. La Bestia doveva essere abbattuta, pensò Vernon, perché il giovane soldato doveva dimostrare al Portatore di Archibugio che era riuscito dove anche Duhamel aveva fallito. Lo doveva a quello scellerato di suo padre che ancora lo aspettava a casa a Liegi e, infine, per la segreta gioia di rivedere quegli occhi gelidi e infuocati.
“L’inesperienza è solo un travestimento per sorprendere chi ti ha già dato per spacciato”
Da quando il bisnonno aveva ottenuto dal Re Luigi il Grande il diploma di Cavaliere, la famiglia del capitano Lucien Rebatet aveva fatto propria la causa del realismo più intransigente. La fedeltà al giglio dorato di Francia era stata trasmessa di padre in figlio con una educazione al rispetto pari quello per la Religione. Così, quando nella guerra contro gli Indiani, il Marchese di Montcalm gli impose organizzare delle incursioni nei territori Irochesi, Rebatet non ebbe alcun dubbio sull'umanità delle conseguenze. D'altronde quelli erano poco più che selvaggi. La morte di Montcalm e la ritirata dai possedimenti del Quebec lo avevano riportato in Francia, dove grazie al suo grado, e a qualche raccomandazione, era stato reintegrato come ufficiale a capo di un'altra banda di selvaggi, secondo i suoi canoni: i belgi del Clermont Prince.
Gente di fedeltà incerta verso la Corona. Avidi mercenari, per Lucien. L'unico che non considerava come tale era il suo parigrado Duhamel, cui era stato affidato l'onere e l'onore di comandare la caccia alla diabolica Bestia.
“Se vuoi inghiottire una carogna, devi farti cane.”